discalculia

La discalculia, deficit che colpisce il 3 – 4 % della popolazione. Spesso associato a dislessia



Un deficit che colpisce il 3 – 4 per cento della popolazione e nei casi più gravi rende difficile distinguere le quantità.

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La dislessia e la discalculia vanno sempre a braccetto? E che cos’è esattamente la discalculia? Quante persone riguarda?
«L’epidemiologia internazionale ci parla di un 3-4% della popolazione generale e nel 50% dei casi chi soffre di dislessia , soffre anche di discalculia – risponde Marco Zorzi, docente di Psicologia cognitiva e Intelligenza artificiale all’Università di Padova- ma va detto subito che l’eterogeneità dei soggetti è molto forte. Insomma non c’è un dislessico- discalculico perfettamente uguale a un altro. Ed è anche questa estrema variabilità a rendere difficile l’individuazione della causa, o meglio delle cause, di questi disturbi».

Come si arriva alla diagnosi di questo disturbo dell’apprendimento?
«La diagnosi di discalculia è più difficile rispetto a quella di dislessia perché ci confrontiamo con qualcosa che cambia di sei mesi in sei mesi. La lettura è sempre lettura, mentre la matematica che si insegna in prima elementare è molto diversa da quella che si impara in seconda: si passa dalle addizioni-sottrazioni alle moltiplicazioni e poi alle divisioni che implicano abilità differenti. Ci può essere chi con le prime se la cava benissimo ma alle divisioni proprio non arriva. Ma la discalculia si potrebbe individuare anche prima dell’arrivo a scuola perché alcuni bambini hanno difficoltà a riconoscere le quantità, ad esempio faticano a distinguere quale di due insieme di oggetti è il più numeroso; è la forma più grave , e fortunatamente poco diffusa, di questo disturbo perché implica un deficit al “senso del numero».

Di che cosa si tratta?
«È un’abilità presente in molte specie animali senza la necessità di alcun addestramento. E che nel bambino è attiva già nel primo anno di vita. A differenza della lettura che è legata a un’invenzione umana: la scrittura, la capacità di distinguere tra diverse quantità ha delle basi filogenetiche perché serve per sopravvivere. Ma, naturalmente, questa capacità con il passare degli anni migliora e lo sviluppo maggiore si ha tra infanzia e adolescenza».

Si può allenare questa capacità al di là della “dote” iniziale?
«Nei bambini sicuramente perché il cervello è molto plastico, quanto agli adulti alcuni studi recenti danno una risposta affermativa. Per imparare la matematica bisogna saper mettere in relazione la quantità con il simbolo numerico: numeri arabi e parole-numero. È evidente che se si ha difficoltà a riconoscere le quantità sarà problematico anche cogliere la relazione. Se chiedo a un bambino discalculico di indicare quale sia il numero più grade di una tripletta ad esempio “70, 35, 52” lo metto in difficoltà perché non può usare le dita per contare».

E come se ne esce?
«L’ approccio più efficace resta l’esecuzione di esercizi di manipolazione delle quantità. Confrontare insieme numerici, collegarli a simboli, che li rappresentano, eseguire semplici addizioni e sottrazioni su insiemi di oggetti. Si può ricorrere a videogiochi creati appositamente a questo scopo che hanno due grandi vantaggi: si fa un training specifico senza che il bambino se ne accorga perché l’esercizio è “nascosto” nel gioco stesso e i videogiochi settano il livello di difficoltà in modo da impegnare le abilità del bambino, in continua evoluzione, sempre all’80%. Richieste superiori lo frustrerebbero, inferiori lo annoierebbero. In pratica il sistema si adegua al singolo bambino: è personalizzato».

Da Corriere.it

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